Master Mind Professional intervista su questo argomento l'architetto Luca Dini, fondatore dello Studio Luca Dini
Luca ci racconti in breve chi sei e cosa fai?
Lo Studio nasce nel 1996. Mentre facevo l’Università entrai nello Studio Spadolini a Firenze. Vi entrai perché è stato il primo Studio in Italia dedicato allo yachting già dal 1986, settore di cui ero molto appassionato. La mia esperienza là dentro è durata dieci anni. Poi ho sentito la necessità di aprire lo Studio per conto mio.
Sono partito dalla base, non avevo risorse all’inizio. Fui costretto a vendere la macchina per comprarmi il materiale necessario per aprire lo Studio che all’inizio era a casa mia. La mia fortuna è stata che ci fu una persona alla quale sarò eternamente grato (all’epoca era il proprietario di Banana Republic) che mi commissionò la realizzazione di uno yatch enorme, 50 metri, scommettendo su di me. Da lì lo studio poi è partito e ho iniziato a ampliare la struttura iniziando con degli amici designers e architetti e poi nel tempo lo Studio è cresciuto sempre di più.
La cosa che mi inorgoglisce è che nello Studio ci sono persone che sono con me dall’inizio. Molti da 20, 25 anni, moltissimi da 15 anni.
Quindi non ho ricambio nello Studio.
Lo Studio si è dedicato in via esclusiva al settore dello yachting fino al 2015.
Poi il caso ci ha portato a progettare uno yatch per un personaggio molto importante ed influente dell’Arabia Saudita il quale, soddisfatto del lavoro svolto, ci ha successivamente affidato molti incarichi.
Nel 2018 ci commissiona addirittura il masterplan di una città.
Fino a quel momento avevo sempre rifiutato incarichi di architettura perché ero molto legato al mondo della nautica che è un settore molto affascinante e divertente, e per me il divertimento è un fattore fondamentale nel mio lavoro.
Non ho potuto rifiutare tale incarico e ho così iniziato a creare l’altro 50% dello Studio, cioè la parte residenziale e di architettura in genere. All’inizio mi sono appoggiato a professori universitari in modo da avere una struttura organizzata.
Dall’acqua alla terra, qual è stata l’azione di successo che ha creato il ponte di collegamento tra questi due elementi?
Ho sempre spinto affinché lo Studio si occupasse di un lusso di alto livello. Disegnare yatch da 25 a 160 metri ti richiede di una cura dei dettagli ai massimi livelli. Questo ci ha permesso di far parte di una ristrettissima parte di architettura che è quella del super lusso sugli yatch. E siccome questi particolari progetti in Arabia richiedevano proprio un’altissima qualità nei materiali e nel design, ecco che il passaggio è stato automatico e naturale.
Si è trattato quindi di una conseguenza naturale rispetto a quanto già facevamo.
La nostra architettura ripropone un’esperienza che viene dalla nautica.
Oggi credo che siamo l’unico Studio, almeno in Italia, che ha fatto un passaggio dalla nautica all’architettura anziché il contrario come alcuni hanno tentato di fare.
Che importanza dai al gioco di squadra?
Vengo da una famiglia numerosa in cui siamo quattro fratelli che hanno giocato tutti a basket che è uno sport che ti allena ad avere una mentalità di squadra. Questa mentalità l’ho riportata anche all’interno dello Studio in cui io considero i componenti della mia squadra non dei collaboratori ma degli amici. Forse è questo che ci ha consentito di diventare, oggi, lo Studio che siamo.
Il motivo per cui abbiamo raggiunto questo risultato è perché le persone si trovano bene qui.
La mia più grande soddisfazione è che li ho scelti io in prima persona.
Che caratteristiche cerchi in un collaboratore?
Per prima cosa voglio che siano brave persone perché entrano a far parte di una famiglia e quindi devono saperci stare. Ho la fortuna di percepire subito chi ho davanti.
Abbiamo preso molte persone senza esperienza, tant’è che il 70% delle persone in organico hanno meno di 28 anni.
Cerco ragazzi non troppo imparati perché hanno ancora quella spavalderia che è necessaria per realizzare i progetti dello Studio che posso definire folli.
Da me la persona troppo inquadrata non è un valore aggiunto.
Cerco persone che abbiano il fuoco dentro e non architetti ragionieri.
Come fai a motivare i tuoi collaboratori?
Innanzitutto ho voluto mantenere una dimensione dello Studio che mi consente di conoscere bene ciascuno di loro e li coinvolgo tutti in ogni progetto.
Non ci sono ruoli, non c’è standardizzazione. Non voglio polli in batteria. Non voglio persone che si occupino solo di una fase specifica e che facciano un lavoro ripetitivo. Faccio di tutto affinché le persone si divertano e lavorino in armonia.
Ho sempre puntato ad avere uno Studio in cui le persone si sentissero bene a venire a lavorare. Cerco di creare un clima conviviale creando momenti di condivisione come aperitivi e cene. I miei collaboratori sono fra loro amici e non colleghi.
Sono flessibile sugli orari di lavoro, c’è un orario di massima certo, ma poi ognuno si autogestisce in base alle proprie esigenze.
Che suggerimenti ti senti di dare a uno Studio che vuole espandersi?
È una questione di scelte personali.
Per quanto mi riguarda ho sempre cercato di lavorare ad altissimi livelli e di trovare del divertimento in tutto ciò che faccio. Di solito le cose così vengono anche bene.
Tanti professionisti non fanno il salto perché convinti che “come lo faccio io non lo fa nessuno”.
Spesso invece affidarsi alle persone ti fa ottenere risultati inaspettati.
Ciascuno di noi non può controllare tutto. Questo pensiero ti limita nell’espansione.
È importante cercare di avere più lavori di tipologia diversa e di mettere alla prova le persone.
Fondamentale è non accentrare ma delegare. La persona in questo caso si sente responsabilizzata e ti restituisce il 200%. Credo tantissimo in questo principio.
Ho affidato progetti milionari dell’Arabia Saudita a due ragazzi di ventotto anni.
Il leader autoritario non va più di moda.
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